Cagliari-Fiorentina (1-2), l’illusione dura venti minuti. Poi il nulla

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La sera scendeva lenta sulla Sardegna e il vento portava con sé, almeno per un po’, il profumo della possibilità. Sembrava tutto pronto per una piccola resurrezione calcistica. Vent’anni fa ci si sarebbe stretti attorno alla radiolina, oggi c’è lo streaming e i telefoni, ma l’attesa è la stessa: un Cagliari chiamato a dire “ci siamo”, a smentire i profeti della retrocessione. E per venti minuti, i rossoblù sembrano davvero in campo. Piccoli la butta dentro, l’arena esulta, e il pubblico si lascia andare all’illusione. Ma poi accade qualcosa. Accade ciò che ormai è consuetudine da troppo tempo: la squadra si spegne. Non tutta insieme, non in un lampo. No, sarebbe stato quasi dignitoso. Si spegne come una candela che tremola, con fasi di luce e d’ombra, lasciando però dietro di sé l’odore acre del cerino bruciato. Caprile, ancora una volta, resta in piedi quando tutto il resto crolla. Non solo para, ma tiene in vita la fiammella dell’onore: è il meno peggio, è l’ultimo a mollare. Intorno a lui, però, il vuoto. Mina combatte e domina fino all’infortunio, e con lui si spegne anche quella vaga parvenza di solidità difensiva. Luperto si macchia del peccato originale, regala il pareggio e poi cerca di rifarsi. Ma un cerotto non tiene una diga. Sulle fasce, Augello decide che un dribbling in area è una buona idea. Non lo è. Zortea, simbolo perfetto del match, parte forte, prende un palo e poi evapora. Zappa, che aveva cominciato dignitosamente, viene spazzato via da Gosens come uno zerbino in pieno vento di maestrale. E a centrocampo regna l’ombra: Adopo, Prati, Makoumbou, ognuno a modo suo, sembrano vagare tra le linee come se il campo fosse diventato improvvisamente estraneo, come se la palla bruciasse più delle responsabilità. Là davanti, Luvumbo illude, poi si spegne come un faro rotto dopo il VAR. Piccoli segna ma si auto-esclude per Verona, ammonizione ingenua che pesa come una condanna. Le sostituzioni? Ininfluenti. Marin ci prova, almeno. Ma Coman e compagnia sono presenze impalpabili, fantasmi calcistici che passano inosservati. E Nicola? L’allenatore osserva, attende, e infine — come sempre — si rintana nel suo silenzio tecnico. Dopo l’avvio promettente, arriva la consueta sparizione. Le scelte tardive, l’inerzia nella gestione, e quella dichiarazione post gara sul calo fisico — in una squadra che non gioca le coppe — suonano come uno schiaffo ai tifosi che si spaccano la schiena per seguire il Cagliari ovunque. È una sconfitta che fa male. Non tanto per il risultato — in fondo, ormai, ci si è quasi abituati — ma per l'assenza di risposte, di nervo, di fuoco. Perché questo Cagliari non perde solo una partita: perde la faccia, perde il tempo, perde la voce. E il silenzio che resta dopo il fischio finale sa di resa.