"Una volta all'anno è lecito impazzire." Il motto latino, attribuito a Seneca, riassume lo spirito del Carnevale, un tempo sospeso in cui il mondo si capovolge, le gerarchie si dissolvono e la follia diventa legge. Un’eredità che affonda le radici nei saturnali romani, quando schiavi e padroni scambiavano i ruoli, e nel culto di Iside, la dea egizia legata alla rigenerazione e al disordine fecondo.
Più che una festa, il Carnevale è un rito di sovversione, un’esplosione di eccessi prima della Quaresima, il momento in cui l’individuo si libera dal peso delle convenzioni e osa ciò che in altri giorni sarebbe impensabile. L’arte del travestimento ne è il cuore pulsante: indossare una maschera significa diventare altro, superare il limite imposto dalla realtà e, per qualche ora, riscrivere il proprio destino.
Il Carnevale italiano si snoda in mille forme. Dalle sfilate sfarzose di Venezia alle maschere ancestrali della Sardegna, dai carri allegorici che deridono il potere ai burattini che incarnano vizi e virtù del popolo, ogni celebrazione racconta una storia.
Il Carnevale di Mamoiada è forse il più enigmatico, immerso in un’atmosfera arcaica e solenne. Qui, le maschere dei Mamuthones, nere e impassibili, avanzano con passo cadenzato, pesanti campanacci sulle spalle, come in un rito che attraversa i secoli. Attorno a loro, gli Issohadores, con i loro abiti rossi e bianchi, impongono il proprio potere lanciando la loro fune a catturare gli spettatori. Un carnevale che non è festa, ma mistero, forza primordiale, eco di un passato mai davvero scomparso.
A Tempio Pausania, invece, il Carnevale si veste di satira: Re Giorgio, il fantoccio simbolo dell’autorità grottesca e del potere ridicolizzato, viene processato e condannato al rogo in una messinscena di sarcasmo e giustizia popolare.
Venezia offre un’altra prospettiva: il Carnevale qui è bellezza barocca e illusione perfetta, un palcoscenico dove la città intera si trasforma in un teatro di figure enigmatiche e sontuose. Le bautte, le maschere impassibili, i tricorni dorati e le sete lavorate, le pose eleganti dietro cui si cela chissà quale verità. Un mondo sospeso tra splendore e inganno, dove il gioco della maschera si fa arte.
Non si può parlare di Carnevale senza evocare le grandi maschere della Commedia dell’Arte, che del travestimento hanno fatto un’arma: Arlecchino, servo affamato e scaltro, la sua casacca rattoppata a nascondere la miseria; Pulcinella, ribelle, sfrontato, con il suo ghigno beffardo e la gobba che sembra portare il peso di mille ingiustizie; Colombina, l’astuzia al femminile, capace di districare inganni con leggerezza e ironia. Figure immortali, scolpite nell’immaginario collettivo, che raccontano vizi e sogni di un popolo.
Cagliari ha il suo Cancioffali, il Re fantoccio che per tutta la durata del Carnevale viene trascinato in corteo, osannato e sbeffeggiato, per poi essere dato alle fiamme il Martedì Grasso. Un destino inevitabile, quello del capro espiatorio: il sacrificio simbolico che segna la fine della follia e il ritorno all’ordine.
E in fondo, il Carnevale è proprio questo: un lampo di anarchia prima della normalità, un inganno consapevole, una parentesi in cui tutto è concesso perché tutto torni come prima. Ma almeno, per qualche giorno, possiamo credere di essere liberi.