Populares e populisti: Trump come i Gracchi?

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  La storia, si dice, non si ripete mai nello stesso modo, ma offre ciclicità sorprendenti. Secondo una lettura ciclica degli eventi, imperi e civiltà attraversano fasi di ascesa e declino comparabili, anche a secoli di distanza. Così, il paradigma romano diventa un metro per interpretare non solo il passato, ma anche il presente, in particolare quello degli Stati Uniti, attuali dominatori dello scenario globale. 

  Tra gli esempi più suggestivi, spicca l’accostamento tra Donald Trump e i fratelli Gracchi, tribuni della plebe e icone del populismo romano. Lucio Caracciolo, su Limes descrive il XX secolo americano come una nuova Roma. L’epoca della Seconda Guerra Mondiale e la conferenza di Yalta avrebbero rappresentato l’“età augustea” degli Stati Uniti: un periodo di stabilità e dominio, con la nascita di un ordine internazionale gestito a favore di Washington. Il 1992, con il crollo dell’Unione Sovietica, segnò il picco di questa supremazia, un “zenit giulio-claudio” culminato nella presunzione di un’egemonia incontestabile. Seguì però un periodo di errori strategici, iniziato con l’estremismo ideologico dei neo-conservatori e la progressiva perdita di credibilità internazionale.

  Trump emerge in questa fase di declino come un elemento destabilizzante, una figura controversa ma inevitabile in una repubblica in crisi. Non è dunque strano che studiosi come Mark Schiffman abbiano accostato la sua figura a quella di Tiberio Gracco, primo dei due fratelli che osarono sfidare il potere della nobiltà romana. I Gracchi, figli dell’aristocrazia, furono leader dei Populares, la fazione politica che si batteva per i diritti delle classi produttive, strangolate dalla globalizzazione economica dell’Impero Romano. La conquista di Cartagine, con la creazione di un dominio senza rivali nel Mediterraneo, aveva favorito un’economia di scala che penalizzava i piccoli agricoltori a vantaggio delle grandi proprietà terriere gestite dai senatori. In questo contesto, i Gracchi tentarono di arginare le disuguaglianze crescenti, proponendo riforme agrarie per ridistribuire le terre pubbliche. Allo stesso modo, Trump ha incarnato, almeno retoricamente, la difesa dei “dimenticati” dalla globalizzazione contemporanea: il ceto medio produttivo americano, impoverito dall’esportazione della manifattura e da un’élite finanziaria percepita come distante e cinica. Come i Gracchi, Trump si è scagliato contro i “nobili” del nostro tempo: i colossi della Silicon Valley, Wall Street, e una politica sempre più distante dagli interessi reali del popolo. Nell’epoca romana, il destino dei leader populisti fu segnato dalla violenza. Tiberio e Gaio Gracco furono assassinati, Mario fu travolto dalla guerra civile, Cesare pugnalato in Senato. Anche Trump ha conosciuto una rappresentazione simbolica di questo destino: nel 2017, un gruppo di attori liberal a New York mise in scena una rappresentazione teatrale in cui un personaggio modellato su Trump veniva pugnalato da donne e minoranze, un evidente richiamo all’uccisione di Giulio Cesare. Inoltre ha subito durante la campagna elettorale del 2024 un tentato omicidio. Questa teatralità contemporanea non è solo un riflesso delle divisioni interne agli Stati Uniti, ma richiama l’aspro malessere che attraversava Roma tredici anni dopo la terza guerra punica. 

  Allora, il dominio incontrastato di Roma sul Mediterraneo aveva portato ricchezze immense, ma anche disuguaglianze sociali mai viste. Oggi, l’America affronta un problema simile: una crescita economica spettacolare, ma polarizzata, e un malcontento diffuso che si nutre di contraddizioni sistemiche. Paragonare Trump ai Gracchi significa riconoscere una realtà ciclica: i populisti nascono dove il sistema scricchiola, dove le disuguaglianze si fanno insostenibili e i ceti medi produttivi si sentono traditi. Come allora, anche oggi il rischio è che il conflitto tra élite e popolo finisca per degenerare. Ma il parallelo suggerisce anche che queste figure, amate e odiate, siano sintomi di un problema più profondo. L’America, come Roma, non è immune ai cicli della storia. E se gli imperi nascono, crescono e cadono, forse il vero lascito di figure come Trump o i Gracchi non è tanto nelle loro riforme, quanto nello specchio che pongono davanti alle fragilità dei sistemi dominanti.