Il presidente del Cagliari, Tommaso Giulini, si apre e parla del suo rapporto con la Sardegna Parte II

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Credo che la storia della nostra gestione in questo decennio sia un esempio perfetto nel bene e nel male per chiunque voglia fare calcio in un certo modo e a certi livelli. Nel 2014 iniziammo un quinquennio improntato alla sostenibilità, cambiando l’immagine del Cagliari sotto ogni punto di vista. In quei cinque anni abbiamo avuto la fortuna di poter fare crescere un talento enorme come Nicolò Barella. Dividerei il tutto in due parti, prima e dopo il Covid, con la crescita e poi la tempesta perfetta dopo la cessione di Barella, avvenuta a cifre record per quanto concerne i trasferimenti tra club italiani. Reinvestimmo tutto immediatamente per provare a fare un salto di qualità nell’organico e quindi nella classifica, puntando tutto su tre calciatori costati quasi 50 milioni: Simeone, l’unico che negli anni è stato poi rivenduto allo stesso prezzo; Nandez, che ha fatto cinque anni ottimi ma abbiamo perso a zero come spesso accade nel calcio di oggi; Rog, che purtroppo si è rotto tre volte il crociato e non ha potuto rendere come tutti speravamo. Si è alzato il monte ingaggi ed è scoppiato il Covid, nel mezzo di una stagione dove eravamo in alto in classifica e già a dicembre avevamo iniziato a perdere terreno. La stagione 2020-2021 ci vide salvi ma non fu positiva, solo adesso – con un percorso lungo e faticoso che durerà forse ancora un paio di stagioni – si sta risollevando la barca. Il calcio ha bisogno di maggiore etica e sostenibilità, io sono per un modello più americano con salary cap dove si compete per competenza e non per portafoglio”. Infine il nuovo stadio: “Una strada molto lunga, perché abbiamo ereditato quasi il nulla: il Sant’Elia era aperto a 5000 persone, la riportammo in fretta a 16000 e costruimmo in quattro mesi uno stadio provvisorio, l’Unipol Domus, risultando un esempio per il calcio italiano: molti Club italiani e stranieri sono venuti a trovarci per capire come si potesse fare. L’amministrazione comunale dell’epoca, guidata come oggi dal sindaco Massimo Zedda, ci diede una grossa mano, insieme all’allora presidente della Lega Serie B Andrea Abodi (oggi Ministro dello Sport, ndr). Nella stessa pratica partimmo quindi con l’idea di uno stadio nuovo e definitivo, al posto del Sant’Elia. L’avvio registrò una certa velocità, ed era credibile pensare che nel giro di 5-6 anni saremmo arrivati all’inaugurazione del nuovo impianto. Poi con la giunta regionale guidata da Christian Solinas abbiamo di fatto perso cinque anni, c’è stato anche il Covid di mezzo, e il progetto è cambiato perché – a maggior ragione durante la pandemia – abbiamo deciso di eliminare il centro commerciale evitando di danneggiare i tanti commercianti del quartiere Sant’Elia e dintorni. La partnership pubblico-privata necessita di un contributo pubblico perché appunto si tratta di un’opera pubblica che resta tale, con un’iniziale concessione di 50 anni. La buona notizia è che sia tornato il sindaco Zedda e che la Regione Sardegna sia guidata da una nuova governatrice, Alessandra Todde, che mi auguro prenda in fretta in mano con priorità la pratica stadio. Va ricordato che ci sono vari modelli: lo stadio totalmente privato, di proprietà del club, che abbiamo scartato soprattutto per le enormi difficoltà vissute da chi mi ha preceduto; lo stadio completamente pubblico, e io credo che in Italia sia veramente difficile pensare che si possa riuscire in tempi ragionevoli, memore anche della mia esperienza nel settore industriale. Siamo partiti sul percorso pubblico-privato previsto dalla prima legge sugli stadi su suggerimento di Abodi, auspicando che nel 2025 la gara pubblica si apra: non è detto che la gara la vinca la società partner del Cagliari Calcio, e comunque i 50 milioni di contributo pubblico (regionale) andranno alla società aggiudicataria della concessione per la costruzione e gestione dell’impianto, che dovrà rientrare di un investimento che altrimenti sarebbe a perdere e a cui il Cagliari Calcio pagherà un cospicuo canone di locazione annuale per l’utilizzo dello stadio. Pensiamo che fare uno stadio costa non meno di 150 milioni, recuperare quella somma è difficile, per usare un eufemismo. I potenziali 10/15 milioni annui di introiti aggiuntivi da match day sono l’unico ritorno economico che avrebbe il Cagliari Calcio, tutto il resto, inclusi i diritti di naming dello stadio, è della società di progetto che costruirà lo stadio. La speranza è di avere uno stadio nuovo prima possibile, identitario, innovativo e confortevole e che spinga emotivamente la squadra, e che ci consenta di investire di più anche nella costruzione dell’organico”. Per chiudere la salvezza come progetto. “Giochiamo in un bellissimo campionato, competitivo e avvincente, che mette in vetrina città e territori meravigliosi come la Sardegna, Parma, Venezia, Milano, Firenze, Roma, Napoli, il Salento e tante altre realtà stupende che altri paesi si sognano. Mi piacerebbe che tutti amassimo la Serie A un po’ di più e lavorassimo insieme per valorizzarla, affinché non venga del tutto erosa da altre competizioni internazionali e da differenti scelte sulla gestione dei ricavi”.