L'ufficio studi dell'Aras ha eseguito una radiografia completa a tutto
il comparto zootecnico sardo, mostrando le trasformazione avvenute nel
corso degli ultimi 30 anni.
Ha preso in esame il settore ovino che ci vede leader in Italia con il
45 per cento delle pecore e con la produzione del 67 per cento del
latte; quello bovino, dove invece vantiamo il modello Arborea per le
vacche da latte, e quello Gallura per la carne.
Dello studio è stato
interessato anche il settore caprino.
“Per le capre – premette il direttore dell'associazione sarda degli
allevatori Marino Contu - è difficile descrivere in modo sintetico la
composizione degli allevamenti e distinguere le produzioni per quantità
e valore perché le statistiche nazionali di settore generalmente non
fanno grande distinzione quando si parla di pecore e capre.
Sembrano
descrivere una specie unica riportando un dato aggregato sotto la voce
ovicaprini”.
Tuttavia, grazie al costante lavoro sul campo dei propri zootecnici e
veterinari, l'associazione ha in casa i dati necessari per ricostruire
la recente storia dell'allevamento caprino.
“Anche se non ai livelli del comparto ovino, la Sardegna ricopre un
ruolo di primo piano a livello nazionale pure con le capre – dice il
presidente dell’Aras Sandro Lasi –. Alleviamo, infatti, il 28 per cento
dei capi presenti in Italia e produciamo il 46 per cento del latte”.
Negli anni presi in esame dallo studio, 1982 – 2010, le trasformazioni
in questo caso sono state meno macroscopiche delle cugine pecore.
“Se la riduzione degli allevamenti è analoga (35 per cento da 4073 a
2634) – spiega Marino Contu - diverso è il discorso per il numero dei
capi.
In questo caso le capre sono aumentate di appena il 7 per cento
(da 225.211 a 241.315), contro il 28 per cento delle pecore. In
percentuale è simile anche la crescita della dimensione media degli
allevamenti, raddoppiata in entrambi i casi: da 55 a 91 le capre, da 121
a 239 per le pecore”.
Anche per la presenza nel territorio non ci sono stati grossi
stravolgimenti.
La regina si conferma la provincia di Cagliari sia in numero di capi
(65.255, - 2 per cento rispetto all'82) che di allevamenti (567, ne ha
perso il 25 per cento in 28 anni).
Ma la zona più popolata, in percentuale al territorio, è di gran lunga
l'Ogliastra dove ce ne sono 34.984 (- 18 per cento rispetto all'82).
Nella provincia (ormai ex) più piccola della Sardegna si trovano anche
gli allevatori più grossi, con una media di 135,5 capre (seconda è
Cagliari con una media di 115,1 capi).
“Il territorio del centro Sardegna, dove è più alta la superficie di
montagna e boschi, è quello che meglio si adatta alle caratteristiche
dei caprini – spiega il presidente Sandro Lasi – ed infatti se
prendessimo come unico dato quello della ex provincia di Nuoro, che
comprende anche l'Ogliastra, sarebbe quella che accoglierebbe in
assoluto il maggior numero, ben 83.384”.
Il maggior numero di allevatori si è perso a Olbia-Tempio.
“Sono
praticamente scomparsi – analizza ancora il presidente -: dei 1.150
dell'82 sono rimasti solo in 211 (-82%) e si sono persi anche il 60 per
cento di capre, da 14.136 sono passate a 5.620”.
“Il dato più alto per incremento di capre si è avuto, in percentuale, a
Sassari, dove ne abbiamo il 208 per cento in più, anche se con dati
bassi (da 5.613 si è passati a 17.270)”.
“Considerato che i prodotti caprini, sia latte che formaggi, per le loro
caratteristiche organolettiche, nutraceutiche e merceologiche, sono
sempre più richiesti dai mercati internazionali – è la proposta che
arriva dall'Associazione allevatori per bocca del direttore Marino Contu
- sarebbe utile attuare in Sardegna un progetto di valorizzazione del
settore caprino.
Ci sono giunte diverse sollecitazioni in questo senso
dalle più importanti industrie di trasformazione”.
“Sarebbe necessario – spiega - valorizzare al meglio la razza -
popolazione della capra sarda con appropriati interventi selettivi, e
con l’introduzione mirata di razze italiane o estere finalizzate a
produrre sia latte alimentare che latte destinato alla trasformazione;
progetto che dovrebbe presupporre una formazione adeguata degli
allevatori per evitare clamorosi fallimenti.
Un esempio virtuoso in
Italia – ricorda il direttore - è rappresentato dalla Regione Lombardia,
che con un lungimirante programmazione ha portato il settore
all’avanguardia. Noi ci siamo, siamo pronti; abbiamo le giuste
competenze per accompagnare il settore e gli allevatori verso questa
nuova sfida che deve essere affrontata con le diverse professionalità
delle agenzie agricole, dei centri di ricerca e con le organizzazioni
sindacali agricole. Attendiamo un segnale dalla politica”.
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