Scattato il fermo biologico, la regina della tavola, l'aragosta, va
ora riposo, almeno quella che vive nei mari della Sardegna. Nasse e
tramagilioni a secco e se ne riparla nella primavera del 2020, a
marzo, quando sarà riaperta la pesca del crostaceo. La chiusura al 31
di agosto della caccia al rpdotto più autorevole dei mari della
Sardegna, oltre che estremamente produttivo per tutta la filiera,
compresa naturalmente quella della ristorazione, provoca
inevitabilmente reazioni nella marineria e nelle attività
gastronomiche di un certo profilo. Succede infatti che mentre
l'aragosta sparisce dalle tavole, anche se c'è sempre quella pescate
nei mari di Sicilia dove la pesca è attiva fino a tutto dicembre,
oppure congelata made in Cuba o tailandese, la domanda del mercato è
ancora forte in quanto località turistiche e di marineria come quella
algherese sono ancora interessate dalla evoluzione del movimento
dell'industria delle vacanze.
Fino a oggi si sono rivelate inutili le richieste della categoria di
dilatare la pesca almeno fino a tutto settembre e,in subordine, di
ottenere una piccola deroga di almeno 15 giorni. Il fermo biologico,
viene spiegato in sede di commissione pesca, viene posto nel momento
in cui le aragoste depositano le uova. Una operazione di salvaguardia
quindi. Ma nella stessa marineria si vivono a questo proposito
filosofie diverse come quella di un vecchio aragostaio secondo il
quale l'unico provvedimento efficace a salvaguardia della specie
sarebbe quello di chiudere la pesca per 5 anni. Con una rotazione per
restare al mare della costa occidentale : da Capo Caccia all'
Argentiera per i primi 5, da Alghero a Bosa per i successivi. Questo
sarebbe, secondo il pescatore, un vero percorso di ripopolamento.
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