Joe Biden ha pronunciato il suo ultimo discorso da presidente davanti alle telecamere nello Studio Ovale, chiudendo non solo il suo quadriennio alla Casa Bianca, ma anche una carriera politica ultracinquantennale. In venti minuti, Biden ha rivendicato alcuni risultati – dalla mediazione per il cessate il fuoco a Gaza al maxi-piano per il clima e l’energia – e ha lanciato un avvertimento che suona più cupo che celebrativo: negli Stati Uniti si starebbe formando un’«oligarchia» che minaccia le libertà fondamentali, la democrazia e i diritti dei cittadini.
Il presidente uscente ha parlato di un’erosione dei principi che hanno retto il paese per oltre due secoli e mezzo. Non ha nominato nessuno in particolare, ma il riferimento ai «pochi individui eccezionalmente ricchi» è apparso fin troppo chiaro: dai grandi donatori politici a figure come Elon Musk, investitori che potrebbero esercitare pressioni sconfinate su istituzioni e opinione pubblica, specie attraverso i social media.
Biden ha puntato il dito contro un «complesso tecnologico-industriale» che ricorda, per analogia, il vecchio «complesso militare-industriale» di cui mise in guardia Dwight D. Eisenhower nel suo discorso di addio del 1961.
La linea esposta da Biden appare amara: chiude la sua esperienza di governo con la percezione di aver ottenuto meno di quanto sperava sul fronte delle riforme sistemiche, pur elencando i dati sulla crescita economica e l’impatto dell’Inflation Reduction Act, presentato come il più grande intervento mai approvato negli Stati Uniti contro il cambiamento climatico. Il presidente uscente sa che molte di queste misure potrebbero essere smantellate dalla prossima amministrazione – quella dello stesso Donald Trump, nuovamente in arrivo alla Casa Bianca – e ne esprime la preoccupazione. La critica, tuttavia, non si trasforma in un attacco diretto a Trump: l’allusione è semmai alla fragilità delle istituzioni davanti all’influenza di soggetti potentissimi e all’indebolimento di un “ecosistema dell’informazione” ormai saturo di disinformazione.
Biden ha anche parlato di necessarie modifiche costituzionali per evitare gli abusi di potere da parte di ogni futuro presidente. Non ha escluso limiti di mandato, nuovi parametri etici per i giudici della Corte Suprema o divieti riguardo agli investimenti del Congresso. Obiettivi ambiziosi in un clima politico e sociale che Biden ritiene pericolosamente polarizzato.
È un presidente che saluta in modo tutt’altro che rassicurante, evocando un futuro carico di tensioni, soprattutto intorno al tema ambientale. Ha denunciato «forze potenti» impegnate a smantellare gli sforzi sul clima per mantenere intatti i propri profitti.
È un discorso in cui riemerge l’America di sempre, divisa fra spinte riformatrici e interessi consolidati, con un sistema di pesi e contrappesi che Biden giudica oggi a rischio.
Ha poi rivendicato, come segno finale del suo operato, la mediazione per il cessate il fuoco a Gaza, rivolgendo più di uno sguardo alle critiche sul bilancio umano del conflitto. Biden si è assunto il merito dell’accordo e ha criticato chi vuole accaparrarselo politicamente – un implicito riferimento alle dichiarazioni del presidente eletto Trump – ma ha anche riconosciuto che questa tregua, come altri risultati, non è bastata a calmare le tensioni interne.
Infine, da ex “bambino balbuziente” di Scranton, Biden ha ringraziato la sua famiglia e i collaboratori, evocando un’America ancora in grado di realizzare sogni e carriere impensabili. Ma il suo monito fa da contraltare all’ottimismo di maniera: «Ora tocca a voi fare la guardia», ha detto. L’eredità politica di Biden rimane incerta e segnala la sensazione di un uomo che lascia la Casa Bianca preoccupato per il futuro, convinto che i semi piantati possano crescere, ma consapevole che la prossima stagione potrebbe essere più turbolenta che mai.