Si può cancellare un rito senza perdere il significato? È questa la domanda che aleggia dietro la proposta di eliminare la discussione pubblica della tesi di laurea all’Università di Sassari. La tesi verrebbe ancora scritta, certo, valutata in silenzio da una commissione, e il voto annunciato durante una cerimonia di proclamazione. Fine della storia. Fine di un confronto che, nel bene e nel male, ha sempre rappresentato il momento culminante di anni di studio e fatica.
Siamo davvero disposti a ridurre la laurea a un gesto formale, a un numero sussurrato tra applausi di rito? La discussione pubblica della tesi, per quanto imperfetta, è un atto simbolico che trascende il semplice esame. È il momento in cui il laureando, dopo anni di fatica, prende posizione, si misura con i docenti, espone e difende il proprio lavoro. È un passaggio di crescita, una forma di iniziazione. Togliendolo, cosa resta? Una laurea più veloce, più semplice, ma forse anche più vuota.
I sostenitori della proposta dicono che la discussione è ormai solo una formalità. Forse è vero: non sempre il confronto raggiunge profondità accademiche, e non tutti i candidati brillano per eloquenza. Ma proprio per questo è importante che il rito rimanga. Perché non si discute solo per i voti o per i presenti, ma per imparare a esporre, a spiegare, a rispondere. Rinunciare alla parola per il silenzio è una scelta comoda, ma anche pericolosa.
Viviamo in un’epoca in cui sembra che l’unico obiettivo sia semplificare, abbreviare, ridurre tutto all’essenziale. Eppure, l’università non dovrebbe seguire questa deriva. È un luogo di formazione, non solo tecnica, ma anche umana. La discussione pubblica è un piccolo banco di prova, un modo per affrontare la paura, la tensione, l’incertezza. È un’esperienza che si porta con sé, un momento che, per quanto imperfetto, rimane impresso.
E allora perché eliminarlo? Perché togliere agli studenti un’occasione di crescita, per quanto scomoda? Forse perché esporre il proprio lavoro richiede coraggio, mentre il silenzio è più rassicurante. Ma l’università non può essere il regno del conforto. Deve essere il luogo in cui ci si misura, in cui si sbaglia, si cade, ma si impara. La laurea, senza la discussione, rischia di diventare una consegna fredda, un passaggio amministrativo che perde la sua anima.
Certo, il sistema accademico ha i suoi problemi, e non sono pochi. Ma la soluzione non è ridurre ulteriormente i già fragili riti che lo tengono in piedi. Il silenzio può sembrare più efficiente, ma non può sostituire la voce di uno studente che, anche per pochi minuti, si prende la scena e racconta il proprio lavoro. Quel momento, per quanto breve, è un tributo al percorso compiuto, un segnale di rispetto per l’impegno profuso.
Se la discussione pubblica non funziona, miglioriamola. Rendiamola più significativa, più coinvolgente, ma non eliminiamola. La laurea non è solo un titolo, è un traguardo che merita di essere vissuto, raccontato, difeso. In silenzio, non vale più nulla.