Terminati i lavori della COP29 a Baku, il bilancio è chiaro: un vertice privo di risultati, ma non di contraddizioni. Il presidente di FederPetroli Italia, Michele Marsiglia, lo definisce senza mezzi termini “un fallimento”. Lo accusa di essere stato poco più di una passerella, arricchita da un giorno aggiuntivo non previsto, utile forse solo a prolungare un soggiorno che poco aveva a che fare con i cambiamenti climatici. Nel frattempo, il mondo resta attaccato a petrolio e gas, mentre la transizione energetica appare sempre più un’idea piuttosto che una strategia.
Marsiglia insiste: “Il pianeta necessita ancora del petrolio e dei suoi derivati”.
Una verità difficile da contestare, con il Medio Oriente e l’Africa che continuano a essere al centro della produzione e delle strategie globali. Anche l’Italia, dove si rispolverano le riserve interne, non è esclusa da questa dinamica. La sostenibilità resta sulla carta, utile per convegni e dichiarazioni, ma incapace di trasformare i mercati.
Il documento finale della COP29 ne è una prova evidente: nessun riferimento all’uscita dai combustibili fossili, nessun piano concreto per il monitoraggio delle emissioni. Un fallimento per l’Unione Europea, che sperava di dare un segnale, ma ha trovato davanti a sé un fronte compatto guidato dall’Arabia Saudita.
Sullo sfondo, la Cina si tiene fuori da ogni obbligo, mentre gli Stati Uniti, sotto la nuova amministrazione Trump, minacciano di uscire dall’Accordo di Parigi.
In questo scenario, i 300 miliardi di dollari l’anno promessi dai Paesi ricchi ai Paesi in via di sviluppo per sostenere la transizione sembrano solo un tentativo di salvare le apparenze.
La COP29 non ha fallito perché priva di ambizione, ma perché ha dimostrato che l’ambizione, in questo momento, non esiste. Petrolio e gas restano centrali, nonostante tutto. E le conferenze come quella di Baku si limitano a certificare l’ovvio: il cambiamento climatico è un tema sul quale il mondo non è pronto a convergere, se non a parole.