C’era una volta la chiesa di San Michele, centro spirituale e culturale della città, punto di riferimento per generazioni di algheresi. Oggi, però, il suo portone resta chiuso, e con esso si chiude anche un pezzo di storia che ha attraversato secoli. L'ultimo gesuita ha lasciato Alghero per raggiunti limiti di età, portando via con sé l'eredità di un ordine che ha dato moltissimo a questa città. Ma cosa resta di quel legame tra San Michele e la comunità?
Per oltre cinque secoli, la Compagnia di Gesù ha rappresentato un faro per Alghero.
Sin dal loro arrivo nel 1584, accolti con entusiasmo dalla popolazione e dalle autorità locali, i gesuiti hanno plasmato la vita culturale e spirituale della città. La loro opera, culminata nella fondazione del Collegio, ha formato giovani e dirigenti, affermandosi come centro di sapere e di fede.
Eppure, nonostante il recente restauro della facciata e la riqualificazione della piazza antistante, San Michele resta chiusa. La processione per il Santo Patrono è ripresa, è vero, ma la chiesa è ancora off-limits per i fedeli e i cittadini che si chiedono: "Riaprirà mai San Michele?"
Nel silenzio di una piazza vuota, non solo fisicamente ma anche spiritualmente, resta un senso di vuoto che fa riflettere. Non si tratta solo di un edificio storico. Qui si parla di un pezzo di anima della città, un luogo che, oltre alla sua missione religiosa, ha ospitato attività culturali, sociali e giovanili.
Il teatro, la musica, il cineforum, persino gli scout e gruppi ambientalisti hanno trovato in San Michele un luogo di incontro e crescita.
La chiusura della chiesa priva Alghero di un punto di riferimento. Non possiamo permettere che una delle più antiche istituzioni della città resti solo un ricordo. Sardenya i Llibertat chiede una risposta alle istituzioni, perché dietro quel portone chiuso c’è molto di più che un luogo di culto: c’è una parte della storia, della cultura e dell’identità algherese.
Il tempo scorre, e il silenzio di San Michele pesa. La città attende una risposta, una data, un segnale. Altrimenti, ciò che era un simbolo di vitalità rischia di diventare un monumento all’indifferenza.