Ancora una volta, il bersaglio facile sono le Università. Il Ministero dell'Università e della Ricerca ha pubblicato il nuovo riparto del Fondo di Finanziamento Ordinario e, come prevedibile, si taglia. Per l'Università degli Studi di Sassari, il taglio ammonta a 2,2 milioni di euro rispetto all’anno scorso, un meno 3,10% che si aggiunge a decenni di sottofinanziamento cronico.
Il messaggio è chiaro: in tempi di crisi, la cultura e l'istruzione sono i primi a pagare il conto.
Ma davvero possiamo permetterci di continuare su questa strada? L’Università è uno dei pochi strumenti che permette alle nuove generazioni di sfuggire a quel destino di marginalizzazione e fuga all'estero che ormai sembra inevitabile per i giovani sardi. Eppure, lo Stato preferisce ancora una volta ridurre i fondi, spingendo verso un futuro di tasse universitarie in aumento e servizi in calo. È già accaduto in passato, e sembra destinato a ripetersi.
La Senatrice Accademica Elisabetta Bettoni ha lanciato l’allarme: "Bisogna evitare che questi tagli comportino riduzione di servizi e aumento delle tasse". Parole sacrosante, ma la domanda vera è: come? L’anno scorso, l’Università di Sassari lamentava già la mancanza di spazi adeguati per le lezioni, di posti sufficienti nelle aule e perfino di sicurezza nelle strutture.
Ora, con 2,2 milioni in meno, quali risorse resteranno per migliorare la situazione?
La risposta che ci viene data è sempre la stessa: austerità, risparmi, sacrifici. Ma a chi giova tutto questo? Chi decide di tagliare i fondi all’istruzione, in un momento in cui la Sardegna sta soffrendo una fuga di cervelli e un declino demografico senza precedenti, dimostra una visione miope. Si preferisce investire in altro, lasciando le Università – e di conseguenza i giovani – al loro destino. Un destino che porta sempre più spesso lontano da casa, verso opportunità che l’Isola non sembra in grado di offrire.
La riforma Gelmini del 2008 e la crisi finanziaria hanno già inflitto colpi durissimi alle Università, specialmente quelle del sud e di piccole dimensioni come Sassari. Ora, anni dopo, ci troviamo a fare i conti con quelle scelte politiche sbagliate. Le conseguenze? Le vediamo ogni giorno: carenza di professionisti, desertificazione dei territori, una fuga continua dei giovani e una dispersione scolastica che sembra ormai inarrestabile.
Eppure, sembra che nessuno abbia imparato la lezione. Finanziamenti che favoriscono solo le grandi Università del nord, mentre quelle come Sassari devono arrangiarsi, combattere con le unghie e con i denti per non affondare del tutto. In Sardegna, la situazione è ancora più drammatica: mancano medici, mancano ingegneri, mancano tecnici specializzati. E noi cosa facciamo? Tagliamo i fondi.
C’è da chiedersi quanto tempo ancora questo sistema possa reggere. Perché i giovani che lasciano l'Isola non torneranno, e le conseguenze della desertificazione non sono solo economiche, ma sociali e culturali.
Il grido d’allarme lanciato dalla Bettoni non è solo una denuncia, è una chiamata all'azione. L’Università di Sassari non può essere lasciata sola. Se non si investe nell’istruzione, se non si dà ai giovani la possibilità di costruire il loro futuro qui, allora cosa resta per questa terra? Si parla tanto di rilancio della Sardegna, ma senza un serio impegno verso l’istruzione e la ricerca, tutto il resto diventa fumo negli occhi.
La verità è che continuare a tagliare fondi è una scelta politica precisa, che porta a una Sardegna sempre più impoverita, non solo economicamente, ma culturalmente e socialmente. Se vogliamo un futuro diverso, dobbiamo invertire questa rotta ora, prima che sia troppo tardi.