Ah, l'autonomia! Quel miraggio che da decenni promette di emancipare la Sardegna e le altre regioni a statuto speciale, trasformando la distanza geografica in un’opportunità politica. Ma siamo davvero sicuri che questa autonomia, tanto invocata quanto bistrattata, stia portando l’isola da qualche parte? Oppure stiamo assistendo all’ennesimo scontro sterile, con lo Statuto Speciale che rimane una cornice vuota, utile solo come arma politica?
La Commissione bicamerale per le questioni regionali, guidata dal senatore di Forza Italia Francesco Silvestro, ha fatto tappa in Sardegna, e la fotografia scattata non lascia spazio a illusioni.
I temi centrali – trasporti, infrastrutture e scuola – continuano a dividere il Paese in due, da Canicattì a Bolzano, come ha sottolineato Silvestro. Parliamo di un’Italia dove i diritti fondamentali sono diversi a seconda di dove ci si trovi. Dove prendere un treno in Sardegna o accedere a un’istruzione adeguata è un percorso a ostacoli, mentre altrove è routine. Autonomia differenziata? Magari. Ma senza i fondi necessari, questa autonomia è solo una parola vuota, priva di sostanza. E qui emerge il vero dramma: i Lep, i Livelli Essenziali delle Prestazioni, sono il nodo cruciale. Identificarli è un conto, finanziarli è tutt’altra storia.
La presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, è chiara e impietosa nella sua analisi: "I dati mostrano che la Sardegna è tra le ultime d’Italia".
Peggiori indici di infrastrutturazione, dispersione scolastica alle stelle, e la lista potrebbe continuare all'infinito. E allora, di quale autonomia stiamo parlando? Quella che rimane impantanata nelle burocrazie romane o quella che viene evocata come soluzione magica da chi ha tutto l’interesse a mantenere lo status quo?
Forse, dovremmo davvero tornare alla lettura dello Statuto Albertino, non per rivedere le sue leggi ma per capire come si possano garantire pari diritti a tutti, senza relegare regioni come la Sardegna a un eterno stato di arretratezza. La promessa dello statuto speciale si è sgretolata, lasciando solo l’eco di vecchi slogan.
La politica, tanto a Roma quanto a Cagliari, sembra incapace di risolvere le vere emergenze dell’isola. E mentre si discute di autonomia, il gap infrastrutturale e scolastico continua a crescere, alimentando la disillusione e lo spopolamento.
Quello che emerge dalle audizioni della Bicamerale è un'Italia spaccata, in cui i cittadini del sud e delle isole si trovano a pagare il prezzo più alto per un sistema che non funziona. La Sardegna, con la sua storia di autonomia speciale, avrebbe dovuto essere un modello, un laboratorio di governance moderna. E invece, si ritrova in fondo alla classifica, vittima di un federalismo zoppo e di promesse non mantenute.
La verità è che questa autonomia differenziata, se mal gestita, potrebbe essere solo l’ennesimo pretesto per alimentare diseguaglianze, anziché colmarle. E così, mentre i governi discutono di principi e fondi che non arrivano mai, i cittadini sardi restano prigionieri di un sistema che sembra aver dimenticato il vero significato di giustizia sociale.
La politica, come spesso accade, usa parole roboanti per coprire le proprie inadempienze. Ma qui, sull’isola, la realtà è ben più cruda. E finché non ci sarà una reale presa di coscienza e un impegno concreto, l’autonomia sarà solo l’ennesima illusione, una chimera che svanisce appena ci si avvicina.