Le accise sul carburante e la politica delle promesse mancate

Pompe benzina
  L’Italia ha un lungo amore-odio con le accise sui carburanti. A ogni campagna elettorale, i leader che promettono di ridurle si moltiplicano, e Giorgia Meloni e Matteo Salvini non hanno fatto eccezione. Nel 2019, Meloni davanti a un benzinaio gridava allo scandalo, Salvini cancellava le accise con una lavagna. Tutto molto efficace sui social, tutto molto convincente per un elettorato stremato dal peso delle tasse. 

  Ma ora, al governo, la melodia cambia. Negli ultimi documenti di bilancio, si parla di un allineamento delle accise tra diesel e benzina, non di una loro riduzione. Un aumento implicito, per garantire una transizione ecologica e sostenere il bilancio pubblico. Il diesel, finora tassato meno della benzina, potrebbe vedere un rialzo significativo nelle accise, avvicinandosi al livello della benzina. Attualmente, le accise sul diesel sono di 62 centesimi al litro, mentre sulla benzina salgono a 73 centesimi. Tutto questo stride con le promesse fatte negli anni. 

  Non si parla più di abbattimento delle accise, ma di un possibile aumento. E mentre il governo smentisce un aumento immediato, il piano di bilancio mostra chiaramente la direzione: allineare le tassazioni per sostenere gli obiettivi di transizione ecologica e la stabilità economica del Paese. La grande differenza, come evidenziato anche da critici, è tra le promesse fatte in campagna elettorale e la realtà del governo. È facile, quando si è all'opposizione, strillare contro le tasse. Ma quando arriva il momento di governare, si scopre che senza quelle stesse tasse non si va lontano. 

  L'Italia ha bisogno di risorse per mantenere i suoi impegni europei e finanziare le riforme strutturali. Non ci sono scorciatoie. In questa dinamica, il populismo si scontra con la realtà. Le scelte di bilancio devono essere fatte, anche a costo di rinnegare quanto gridato a gran voce. E il governo Meloni-Salvini si trova proprio in questa posizione: tra il martello delle promesse passate e l’incudine di un bilancio che non perdona. Alla fine, il prezzo lo pagheranno i cittadini. Non solo in termini economici, con l’aumento dei costi del carburante, ma anche in termini di fiducia politica. Il populismo, una volta al governo, si rivela spesso inefficace. 

  Gli slogan sono facili, governare lo è molto meno. E ogni volta che una promessa viene disattesa, una fetta di elettorato perde fiducia, delusa dall’incoerenza. La lezione è chiara. Il populismo, quando si scontra con la realtà dei numeri, si sgretola. E sebbene il governo possa smentire oggi un aumento immediato delle accise, i documenti ufficiali parlano chiaro: una rimodulazione è all’orizzonte. Il gatto e la volpe, come li chiamano alcuni, si trovano ora di fronte a una scelta inevitabile: sacrificare la propaganda per far fronte alle necessità reali del Paese. E come sempre, il conto finale lo pagano gli italiani.