Esprimere un'opinione sul web, oggi, è diventato quasi un atto di coraggio. Non importa quanto pacato, educato e ragionato sia il pensiero che si vuole condividere: ci sarà sempre qualcuno pronto a rispondere con aggressività. E così, quella che doveva essere una piattaforma di dialogo e confronto, si trasforma sempre più spesso in un'arena di scontri. Come siamo arrivati a questo punto?
Il web ha fatto cadere molte barriere, ma ha creato nuovi muri.
La possibilità di esprimere liberamente le proprie idee è stata accompagnata dalla crescita incontrollata di chi usa questa libertà per aggredire, insultare e far tacere l'altro. Non si tratta di una massa: gli studi dimostrano che solo una piccola percentuale di utenti è responsabile della maggior parte dei comportamenti ostili. Tuttavia, la loro presenza è così pervasiva che sembra che l'intero spazio digitale sia infestato da voci che si alzano, non per dialogare, ma per sopraffare.
Il risultato? Molti di noi preferiscono tacere. Si rinuncia a esprimere un'opinione diversa per evitare il fuoco incrociato di chi non aspetta altro che una parola fuori posto per scatenare una polemica.
Si vive in un mondo digitale dove anche un pensiero moderato può diventare l'innesco di una tempesta di insulti e minacce. Si parla spesso di "cancel culture" come di un fenomeno che, paradossalmente, limita quella stessa libertà di espressione che teoricamente vorrebbe proteggere.
Ma perché tutto questo accade? Perché siamo così vulnerabili all'aggressività online? In parte, la risposta risiede nell'impersonalità del mezzo: è facile lanciare un insulto quando non si guarda negli occhi l'interlocutore. Il web rende invisibili, e per molti questo significa anche sentirsi immuni dalle conseguenze delle proprie parole. Tuttavia, la ricerca ci dice che non è solo questo. Esiste un piccolo gruppo di individui che usa consapevolmente l'ostilità per ottenere visibilità e status. Sono questi "guastatori professionisti" che inquinano il dibattito online, rendendo tossico anche il confronto più banale.
Il punto è che oggi non importa più cosa si dice, ma come viene percepito da chi ascolta o legge.
Anche un pensiero ben argomentato può diventare una miccia se arriva alle orecchie sbagliate. E così si finisce con l’autocensurarsi: meglio non dire nulla, meglio non rischiare. La paura di essere fraintesi o attaccati è così grande che spesso preferiamo il silenzio.
Il rischio, però, è che questo silenzio diventi contagioso. Se tutti smettiamo di parlare per paura, cosa resta della libertà di espressione? La rete, che doveva essere il grande spazio del dialogo globale, rischia di diventare un luogo di monologhi, dove solo chi urla più forte ha la meglio. Ma forse è proprio questo che alcuni vogliono: non una piattaforma di scambio, ma un'arena dove imporre il proprio pensiero, senza dover affrontare il confronto.
Dobbiamo resistere a questa tendenza. Non lasciamo che siano gli altri a decidere cosa possiamo o non possiamo dire. Difendiamo il diritto di esprimere le nostre opinioni, anche quando sono impopolari, e soprattutto, impariamo a farlo con rispetto. Perché la vera libertà di espressione non è solo quella di dire ciò che si pensa, ma di farlo in un contesto dove il dialogo, e non l’aggressione, è la regola.