Editoriale: L'infamia di Lanusei e la barbarie del web

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  In queste ore il nome di Lanusei sta diventando virale non per la bellezza delle sue coste o per l'ospitalità dei suoi abitanti, ma per un atto di crudeltà sconvolgente. Un gruppo di giovani ragazzi, certamente minorenni, ha commesso una barbarie che ha scosso profondamente non solo la comunità locale ma l'intera nazione. Hanno gettato un gattino da un ponte, riprendendo il vile gesto e pubblicando il video sui social media. Un atto che grida vendetta e che ci obbliga a riflettere sull'abisso morale in cui stiamo sprofondando. L'intera amministrazione comunale, sia maggioranza che opposizione, ha prontamente censurato l'atto, dimostrando una rara unità di fronte alla barbarie.

  Le autorità stanno attivando tutti gli strumenti legali per sanzionare e rieducare i responsabili, come si legge nella nota ufficiale: “Attivati strumenti per sanzioni e rieducativi”. Questo gesto ignobile ha scosso fortemente Lanusei e i comuni vicini, realtà che non sono abituate a confrontarsi con tali manifestazioni di crudeltà. Ma c'è un altro aspetto altrettanto inquietante di questa vicenda: la reazione sui social media. Accanto ai condivisibili messaggi di biasimo, è comparsa una miriade di post e commenti carichi dei peggiori insulti e minacce non solo ai ragazzi coinvolti ma anche ai loro genitori e, incredibilmente, a tutta la comunità di Lanusei. Lo Stato e le istituzioni possono adottare tutte le misure di prevenzione e sensibilizzazione sul tema del disagio giovanile, ma se poi l'esempio che gli adulti restituiscono è quello di una folla con torce e forconi, ancorché virtuali, è evidente che nulla potrà funzionare. 

  Questo episodio è il riflesso di un fallimento collettivo. I giovani che hanno commesso questo atroce atto sono il prodotto di una società che ha perso la bussola morale. E la reazione del web, con la sua violenza verbale, non fa che peggiorare la situazione. È facile puntare il dito e scagliarsi contro il male visibile, ma è altrettanto necessario guardarsi dentro e riconoscere che la vera barbarie è diffusa e radicata nelle nostre stesse case, nei nostri stessi cuori. Non bastano le parole, non bastano le condanne ufficiali. Serve un cambiamento profondo, una presa di coscienza collettiva. Dobbiamo educare i nostri figli al rispetto della vita, di ogni forma di vita. Dobbiamo insegnare loro che ogni atto di crudeltà verso un essere indifeso è un atto di crudeltà verso l'umanità stessa. E dobbiamo farlo con l'esempio, non con le minacce, non con la violenza. Lanusei deve diventare un simbolo, non di infamia, ma di riscatto. La comunità ha la responsabilità di dimostrare che da un episodio di tale bassezza può nascere una nuova consapevolezza, una nuova etica. E noi tutti, come società, dobbiamo fare lo stesso. Non possiamo più tollerare la barbarie, né quella degli atti crudeli né quella delle parole violente. È ora di dire basta, di voltare pagina e di costruire un futuro dove il rispetto e la dignità siano i pilastri fondamentali della nostra convivenza.