L'Italia tra mito e realtà, capitolo 8: Tarquinio il Superbo - L'Ultimo Re

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  La storia di Roma è fatta di personaggi che sembrano usciti da un dramma teatrale. E tra questi, pochi sono più drammatici di Tarquinio il Superbo, l’ultimo re di Roma. Se il soprannome "Superbo" non fosse abbastanza esplicito, basta guardare alla sua ascesa e caduta per capire perché è ricordato come il tiranno che pose fine alla monarchia romana. 

  Ma fermiamoci un attimo a riflettere: questo appellativo di "Superbo" – ovvero arrogante, tirannico – è stato davvero meritato, o è solo il frutto della propaganda che ha accompagnato la nascita della Repubblica? È innegabile che Tarquinio non fosse un campione di virtù, ma viene da chiedersi se non sia stato un po’ troppo facile appiccicargli quell’etichetta, utile a giustificare la rivolta e la conseguente "liberazione" della città. 

  Dopo tutto, i vincitori scrivono la storia, e i romani, volendo celebrare la fine della monarchia e l’inizio della Repubblica, avevano bisogno di un cattivo all’altezza. Tarquinio il Superbo, al secolo Lucio Tarquinio, non era uno che si faceva troppi scrupoli. Figlio di Tarquinio Prisco e genero di Servio Tullio, la sua ascesa al trono è un intreccio di ambizione, tradimenti familiari e sete di potere. 


  Quando si parla di lui, la parola "tiranno" non è un’esagerazione: è quasi una descrizione tecnica. La sua storia inizia, come abbiamo visto, con il sanguinoso colpo di stato che rovesciò Servio Tullio. Tarquinio, spinto dall’ambizione della moglie Tullia – figlia dello stesso Servio – non esitò a uccidere il suocero, assicurandosi il trono con la stessa brutalità con cui avrebbe governato. La leggenda narra che Tullia, in preda a un delirio di potere, passò con il carro sul corpo del padre, un atto che, simbolicamente, segnò l’inizio di un regno di terrore. Una volta al potere, Tarquinio si comportò esattamente come ci si aspetterebbe da uno chiamato "Superbo". Abolì tutte le riforme di Servio Tullio che davano voce alle classi meno abbienti, consolidando il potere nelle mani della nobiltà, o meglio, nelle sue mani. Governava con il pugno di ferro, senza badare troppo al consenso. Per lui, Roma non era una città da guidare, ma un bottino da sfruttare. E come ogni buon tiranno che si rispetti, circondò il suo trono di paure e sospetti, eliminando chiunque osasse metterlo in discussione. 

  Ma il suo vero errore fu la politica estera. Tarquinio si lanciò in una serie di guerre contro le città vicine, non tanto per la gloria di Roma, quanto per arricchire se stesso e mantenere l’esercito fedele con le spoglie dei nemici. Tra le sue imprese più note c’è la conquista di Gabii, ottenuta non con la forza ma con l’inganno, grazie a un complotto orchestrato dal figlio Sesto Tarquinio. Ma la vittoria non fece altro che alimentare il malcontento a Roma, dove la gente cominciava a stancarsi di un re che sembrava più interessato a riempirsi le tasche che a governare con giustizia. Il punto di rottura arrivò con uno degli episodi più tragici e celebri della storia romana: lo stupro di Lucrezia. Sesto Tarquinio, seguendo l’esempio del padre, pensava che tutto fosse lecito per un Tarquinio, compreso violare l’onore di una donna nobile. Lucrezia, moglie del nobile Collatino, non sopportò l’onta e, dopo aver rivelato l’accaduto, si tolse la vita. La sua morte scatenò una rivolta popolare guidata da Lucio Giunio Bruto, che giurò di vendicare Lucrezia e liberare Roma dalla tirannia dei Tarquini. Il popolo, stanco degli abusi e delle prepotenze, si sollevò contro Tarquinio il Superbo. Bruto, insieme a Collatino, raccolse attorno a sé i cittadini romani, determinati a non essere più governati da un re. Tarquinio, colto di sorpresa, non trovò l’appoggio che si aspettava.

  Le sue stesse truppe, stanche della sua oppressione, si rifiutarono di difenderlo. E così, senza un esercito e senza un popolo, Tarquinio fu costretto a fuggire da Roma, esiliato insieme alla sua famiglia. Con la cacciata di Tarquinio il Superbo, Roma fece il suo passo decisivo verso la Repubblica. Fu abolita la monarchia, e al suo posto fu instaurato un nuovo sistema di governo, con due consoli eletti annualmente. La fine del regno di Tarquinio segnò non solo la fine della dinastia etrusca, ma anche la fine del potere assoluto. Roma, finalmente, si liberava dei re, giurando che nessun uomo avrebbe mai più detenuto il potere supremo da solo. Ma la storia di Tarquinio il Superbo non si concluse con il suo esilio. Passò il resto della sua vita a tramare contro Roma, cercando invano di riconquistare il trono. Le sue alleanze con i Latini, i Sabini e persino con gli Etruschi non riuscirono a restituirgli il potere, e morì in esilio, l’ultimo dei re di Roma, il cui nome sarebbe stato ricordato per sempre come sinonimo di tirannia. Con Tarquinio il Superbo, si chiuse l'era dei re a Roma. Il suo regno, segnato da violenze e abusi, lasciò una lezione indelebile nella storia romana: il potere concentrato in una sola persona, senza limiti e senza controllo, porta inevitabilmente alla rovina. Da quel momento, Roma si incamminò verso una nuova forma di governo, quella Repubblica che avrebbe dominato il Mediterraneo per secoli, gettando le basi di una civiltà che, nel bene e nel male, avrebbe segnato il destino del mondo.