L'Italia tra mito e realtà, capitolo 4: Tullo Ostilio - Il Re Guerriero

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  Con la morte di Numa Pompilio, Roma si trovò di nuovo ad un bivio. La città, sotto la guida del saggio re, aveva consolidato le sue fondamenta spirituali e legali, ma non aveva aumentato di molto il suo territorio. Era tempo di cambiare registro, e i romani, notoriamente poco inclini a stare con le mani in mano, sentivano il bisogno di tornare alla loro vocazione originaria: la guerra. 

  Ed è qui che entra in scena Tullo Ostilio, un re che sembra uscito da un altro mondo rispetto al pacifico Numa. Se Numa era il re che parlava con le ninfe, Tullo era il re che parlava con la spada. Il suo regno segna una nuova fase nella storia romana: quella delle conquiste, delle battaglie e della riaffermazione di Roma come potenza militare. Tullo Ostilio non perde tempo in chiacchiere o riti religiosi. 

  Per lui, la religione era una cosa buona e giusta, certo, ma solo finché non intralciava la sua vera passione: la guerra. Appena salito al trono, trova subito un pretesto per sfoderare la spada. La scintilla è una disputa con Alba Longa, città vicina e parente stretta di Roma, da cui, secondo la leggenda, discendevano gli stessi Romolo e Remo. La guerra tra Roma e Alba Longa non è una semplice scaramuccia tra vicini. È una questione di egemonia sulla regione. 

  Tullo, con il suo spirito bellicoso, non vede l’ora di dimostrare la superiorità di Roma. Ma c’è un problema: combattere una guerra totale contro una città sorella non è proprio un’idea brillante. Così, per evitare una carneficina fratricida, si decide di risolvere la questione in modo... originale: con un duello tra tre campioni per parte. Nasce così il leggendario scontro tra gli Orazi e i Curiazi. Questo scontro è più che un semplice duello: è un simbolo di come i romani affrontavano i conflitti, con astuzia e determinazione.

  I tre fratelli Orazi, scelti da Roma, e i tre Curiazi, di Alba Longa, si affrontano in una lotta all’ultimo sangue. Quando sembra tutto perduto per Roma – due degli Orazi vengono uccisi rapidamente – il terzo fratello, Publio Orazio, decide di usare l’intelligenza invece della forza bruta. Fingendo di fuggire, separa i Curiazi e li affronta uno alla volta, vincendo così per Roma. La vittoria di Publio Orazio è la vittoria di Roma, che sotto Tullo Ostilio annette Alba Longa. Ma Tullo, con il suo carattere spietato, non si accontenta della semplice vittoria: radere al suolo Alba Longa e trasferire i suoi abitanti a Roma gli sembra la soluzione migliore per evitare futuri problemi.

  Questo atto, brutale ma efficace, è lo stile di Tullo: Roma non poteva permettersi rivali, nemmeno tra i parenti. Forse aveva preso ispirazione dal primo re, chissà. Ma come spesso accade a chi si concentra troppo sulla guerra e poco sul resto, Tullo dimentica di fare i conti con gli dei. Proprio lui, che aveva quasi ignorato la religione in favore delle armi, finisce per pagare caro questo errore. Una serie di prodigi e calamità naturali colpisce Roma, segni inequivocabili della collera divina. 

  Tullo, colto dal terrore, cerca di rimediare celebrando rituali che non conosce bene, e alla fine, in un supremo atto di ironia, viene colpito da un fulmine, mandato, si dice, dallo stesso Giove. Tullo Ostilio conclude la sua vita come l’aveva cominciata: tra le fiamme, ma stavolta non quelle della battaglia, bensì quelle celesti, colpito da una folgore.

  Il suo regno segna il ritorno di Roma alla guerra, ma ci ricorda anche che una città, per prosperare, non può vivere solo di conquiste. Se Numa aveva insegnato ai romani l’importanza della religione, Tullo, in modo molto più drastico, gli insegna che trascurare gli dei può essere pericoloso. Con la morte di Tullo, Roma si prepara ad accogliere un nuovo re, sperando che sappia tenere meglio insieme il sacro e il profano, l’altare e la spada.