Cagliari, Palazzo Regio, 28 novembre 2024. È una firma che pesa quella apposta oggi dalla presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, accanto a quella della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Con loro, a dare corpo al patto per lo sviluppo e la coesione dell’isola, c’era anche il Ministro per gli Affari Europei e il Sud, Raffaele Fitto. Sul tavolo, un accordo che porta in dote 3,55 miliardi di euro, con la promessa di 294 interventi strategici destinati a infrastrutture, sanità, istruzione, ambiente e riqualificazione urbana.
Un’intesa che, almeno sulla carta, segna un passo significativo per il futuro della Sardegna. I fondi FSC 2021-2027, integrati con altre risorse nazionali ed europee, dovrebbero servire a colmare quei vuoti che l’isola si trascina da decenni: la carenza di acqua, le criticità nella viabilità, l’edilizia pubblica al palo e una sanità troppo spesso sul filo del collasso.
“È un’opportunità unica”, ha dichiarato la presidente Alessandra Todde, evidenziando come questo piano tocchi priorità fondamentali per i cittadini.
Tra queste, l’acqua, con 735 milioni destinati al miglioramento delle reti idriche; la viabilità, con 449 milioni per interventi chiave come la Metrotranvia di Sassari e la messa in sicurezza delle strade provinciali; e la sanità, con risorse per completare opere cruciali come il Complesso Ospedaliero di Sassari e la Piastra Tecnologica d’Urgenza del San Michele di Cagliari.
Sulla carta, numeri e obiettivi ci sono tutti. Ma è qui che si gioca la vera partita. Perché se c’è una cosa che la Sardegna ha imparato a proprie spese è che non bastano le firme e gli annunci per cambiare il volto di un territorio. I 294 interventi devono trasformarsi in cantieri, e i cantieri in opere utili e durature.
Un percorso che non ammette ritardi, burocrazia paralizzante o sprechi.
Non si può non notare che molti degli interventi previsti riguardano settori in cui la Sardegna soffre storicamente. L’acqua, ad esempio, è da sempre una piaga aperta per l’isola, tra reti acquedottistiche obsolete e sprechi che gridano vendetta. La viabilità, poi, resta una delle grandi incompiute: strade insicure, collegate male e lontane dagli standard di altre regioni italiane.
E la sanità? Con poco più di 136 milioni allocati, i numeri sembrano modesti rispetto alle esigenze di un sistema che fatica a garantire cure basilari. Le liste d’attesa continuano a essere insostenibili, i piccoli ospedali arrancano e il diritto alla salute, specie nelle aree interne, appare più che mai un miraggio.
Ci sono però segnali che meritano attenzione, come gli investimenti nell’istruzione, con oltre 187 milioni per l’edilizia scolastica e 104 milioni per l’università. Risorse fondamentali per un’isola che lotta contro tassi di dispersione scolastica tra i più alti d’Italia.
Ma, in fin dei conti, questi 3,55 miliardi esistono davvero? È una domanda legittima, e non per diffidenza, ma per realismo. Troppe volte, in passato, abbiamo assistito a sfilate di firme e sorrisi, seguite da nulla o quasi. Stavolta la Sardegna non può permetterselo. Questo accordo deve tradursi in risultati tangibili, altrimenti resterà l’ennesima passerella da archiviare nel libro delle occasioni perse.
Adesso il compito è chiaro: meno annunci, più fatti. La Sardegna ha bisogno di interventi concreti, perché l’isola non può più aspettare. E mentre il tempo scorre, resta una sola certezza: il futuro non si costruisce con le promesse, ma con i cantieri aperti e le opere finite.