San Teodoro: l’assassino di Erica Preti in semilibertà. La protesta dei familiari

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  Erica Preti, una giovane donna piena di vita, veniva brutalmente assassinata nell’estate del 2017 a San Teodoro. La furia omicida del suo ex fidanzato, Dimitri Firicano, si abbatté su di lei con 57 coltellate, lasciando un’intera comunità sotto shock. Condannato in primo grado a 30 anni di carcere, Firicano sta oggi beneficiando di condizioni di semilibertà che indignano e feriscono profondamente i familiari della vittima. Dopo una riduzione della pena nel 2023, Firicano è stato trasferito agli arresti domiciliari a causa di problemi di salute legati all’obesità. 

  Le concessioni non si fermano qui: gli è stato autorizzato di uscire la mattina per visite mediche e il pomeriggio, dalle 15 alle 18, per passeggiare. Una libertà che appare assurda e insopportabile per i genitori di Erica, che potrebbero incontrarlo per strada. “Non riesco a capacitarmi di questa decisione,” ha dichiarato la madre di Erica. “Ci ha tolto nostra figlia, ci ha negato la possibilità di diventare nonni. E ora dobbiamo accettare di vederlo camminare libero? Doveva scontare un ergastolo, senza sconti.” Il dolore di una famiglia che ha perso tutto si scontra con un sistema giudiziario percepito come indulgente. “Dovrebbero ricoverarlo in una struttura adeguata, se è malato. Ma non può essere libero,” ha aggiunto la madre, raccontando con rabbia il primo incontro casuale con Firicano per strada. “Mi ha fermato mia cognata, altrimenti avrei perso la calma.” 

  La vicenda ha riacceso il dibattito sulle misure alternative alla detenzione per chi si è macchiato di crimini così efferati. Non si tratta solo della pena, ma del significato che essa porta per le vittime e per i loro cari. La memoria di Erica, brutalmente strappata alla vita, si scontra con una realtà che pare minimizzare il dolore inflitto. A distanza di sette anni, la famiglia Preti continua a lottare per la giustizia, affinché il nome di Erica non venga dimenticato e il suo sacrificio non sia vano. “Non chiediamo vendetta, ma rispetto per la nostra perdita e per la vita di nostra figlia,” hanno concluso i genitori. Una ferita che rimane aperta, non solo per i familiari, ma per tutti coloro che credono nella giustizia come pilastro fondamentale della convivenza civile.