La Sardegna e il DDL sulle aree idonee: soluzioni o concessioni?

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  La Sardegna è sull’orlo di una decisione destinata a cambiare il volto del suo paesaggio e il futuro della sua energia. Da settimane, il ddl sulle “aree idonee” è al centro di un dibattito acceso, che vede da un lato una maggioranza compatta nel presentarlo come baluardo contro la speculazione, e dall’altro la crescente preoccupazione di cittadini e comitati. La domanda resta la stessa: questo ddl è davvero la risposta alla speculazione energetica, o apre alla possibilità di sfruttare la Sardegna come “cava verde” delle multinazionali? L’assessore all’Industria Emanuele Cani descrive il ddl come la "vera risposta" contro la speculazione, ma la storia ci ha già mostrato cosa significhi, in Sardegna, parlare di “regolamentazione”. 

  Le “aree idonee” suonano come un compromesso, uno di quei compromessi che rischiano di lasciare mano libera proprio a quegli attori esterni che dicono di voler tenere alla larga. La scelta di concentrare le installazioni energetiche in aree circoscritte, se non accuratamente sorvegliata, rischia di trasformare queste zone in spazi di sfruttamento intensivo, dove il controllo reale potrebbe sfuggire a chi dovrebbe esercitarlo. L’idea di una Sardegna che protegge se stessa è bella, certo, ma ha il sapore amaro dell’illusione. In passato, ci sono stati progetti presentati come “sostenibili” che hanno lasciato il territorio intaccato e i benefici lontani. I comitati che oggi si schierano contro il ddl non sono sognatori, ma cittadini che conoscono il prezzo delle decisioni dall’alto. 

  E allora, è legittimo chiedersi: questa “green economy” di cui tutti parlano è davvero pensata per la Sardegna, o si rivelerà solo un altro scudo verbale dietro cui si nasconde il solito saccheggio, questa volta tinto di verde? Il Consiglio regionale si mostra allineato, ma la popolazione guarda con scetticismo a questa “compattezza”. La compattezza, in Sardegna, è stata spesso sinonimo di decisioni calate dall’alto e di sacrifici a senso unico. Perché il ddl non prevede una moratoria più lunga, che permetta alla Sardegna di stabilire condizioni chiare e realmente eque? L’intenzione dichiarata di “proteggere il territorio” sembra nobile, ma è impossibile non notare come l’approvazione a tappe forzate non offra garanzie sufficienti.

  Le parole forti del Consiglio servono a poco se non sono seguite da azioni che diano al territorio un vero controllo. Il rischio è che il ddl diventi un alibi perfetto: una legge che si proclama di tutela, mentre in realtà apre le porte agli investimenti più intensivi. Se davvero si vuole una Sardegna in grado di controllare la sua energia e non solo di ospitarla, allora si deve puntare a una transizione costruita sulle sue risorse, sulle sue necessità, sulla volontà del suo popolo. Il ddl sulle “aree idonee” ci mette di fronte a una verità scomoda: o la Sardegna resta padrona del proprio destino, o accetta di diventare il cortile energetico di qualcun altro.