Eccoli di nuovo, gli sbarchi sulle nostre coste, nel cuore del sud Sardegna. Ieri pomeriggio, 21 migranti sono stati intercettati all’interno del poligono militare di Capo Teulada, lungo la statale 195. Sono arrivati via mare, su uno di quei barchini che a stento resistono alla traversata, ma che evidentemente continuano a portare migranti in cerca di un approdo, di qualcosa che assomigli alla salvezza.
Questa volta, 16 uomini, tre donne e due bambini. L’aspetto che rende la situazione ancora più complicata è la presenza di minori, segno di disperazione profonda, di un viaggio affrontato a qualunque costo, con il rischio costante di pagare un prezzo altissimo.
L’operazione di blocco è stata portata a termine dai Carabinieri di Giba e dal Nucleo di Polizia Militare di Capo Teulada, ma del barchino – testimone di un’ennesima traversata – non c’è traccia. Un simbolo di questi tempi, una scia che si disperde mentre rimangono domande scomode e poche risposte.
I migranti sono stati trasferiti al centro di prima accoglienza di Monastir, ma non è un fatto isolato: solo venerdì, a Sant’Antioco, la Guardia di Finanza ha fermato un altro barchino con 14 persone a bordo. E così la Sardegna torna a essere meta di disperati, stretta tra accoglienza e gestione, tra l’incertezza su come affrontare il fenomeno e la certezza che, come un’onda, tornerà ancora.
Questi arrivi continuano a sfidarci, a mettere alla prova la nostra capacità di rispondere, di garantire accoglienza senza compromettere sicurezza, risorse e stabilità. Ma resta una realtà che non possiamo ignorare: il mare nostrum, questo Mediterraneo ormai trasformato in un grande cimitero, non smette di restituirci vite in fuga, scampate ai marosi ma destinate a nuove sfide sulla terraferma.