Il terremoto in Irpinia: l’apocalisse italiana e le cicatrici di una tragedia

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  Era il 23 novembre 1980, alle 19:35, quando un terremoto di magnitudo 6.8 devastò l’Irpinia, segnando per sempre la storia del Sud Italia. La scossa colpì un’area vasta, circa 17.000 chilometri quadrati, coinvolgendo le province di Salerno, Avellino e Potenza, e oltre 600 comuni si ritrovarono in ginocchio. La furia del sisma lasciò dietro di sé quasi 2.000 vittime e migliaia di feriti, segnando il territorio con un dolore che il tempo non ha mai del tutto sanato. Nei giorni successivi, il Paese si trovò a fronteggiare una crisi senza precedenti. Il 26 novembre una frase divenne simbolo di quell’angoscia e urgenza: “FATE PRESTO”. Questa richiesta, semplice e disperata, campeggiava sui principali quotidiani e racchiudeva l’appello di un popolo in attesa di soccorsi e assistenza. 

  I soccorritori, arrivati da tutta Italia, lottarono instancabilmente tra le macerie, cercando di salvare quante più vite possibile. Le testimonianze dei sopravvissuti raccontano di persone rimaste sotto le macerie per oltre 48 ore, sperando e pregando di essere trovate. Tuttavia, la risposta dello Stato fu percepita come lenta, e la rabbia per i ritardi crebbe tra la popolazione. L’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, si recò personalmente in Irpinia, portando un segnale di vicinanza a livello nazionale e promettendo maggiore sostegno. I fondi stanziati dal Governo permisero nel tempo la ricostruzione dei paesi distrutti, con un’attenzione all’uso di tecnologie moderne. Tuttavia, a quasi mezzo secolo di distanza, per molti residenti la nuova Irpinia, con le sue infrastrutture moderne, non ha mai sostituito il legame con i vecchi centri storici e le antiche strutture. Per alcuni, il ricordo di quella notte è scolpito nel tempo: ci sono case dove l’orologio fermo alle 19:35 segna ancora l’ora di quella tragedia, un promemoria di un trauma collettivo mai del tutto superato. Oggi l’Irpinia si erge come una terra rinata, ma le cicatrici di quella “apocalisse italiana” sono parte del suo paesaggio e della sua memoria collettiva.