Gli agricoltori sardi non ci stanno. Di fronte alle nuove normative ambientali e all’insistenza sulla transizione ecologica, mostrano un muro di resistenza che si fa sempre più solido. Un recente sondaggio del Centro di Assistenza Agricola (Caa) dell’Unsic ha evidenziato che la maggioranza degli agricoltori e degli allevatori dell’isola non è disposta a cedere alle richieste di un cambiamento radicale delle pratiche agricole, preferendo invece continuare con i metodi tradizionali che hanno caratterizzato il loro lavoro per generazioni.
La ricerca, nata per una tesi del Master in Food Law alla Luiss di Roma e coordinata dall’agronoma Daniela Torresetti del Masaf, ha coinvolto agricoltori di tutta Italia, ma in Sardegna i risultati si discostano dalla media nazionale. Se a livello generale il 51,6% degli intervistati vuole mantenere lo status quo, in Sardegna questa percentuale cresce notevolmente.
Gli agricoltori sardi chiedono “meno regole ambientali” e non accettano imposizioni che potrebbero compromettere le loro attività.
Il messaggio è chiaro: per i lavoratori del settore agricolo sardo, la priorità non è la sostenibilità, ma la sopravvivenza economica. Mentre altrove si parla di energie rinnovabili, agriturismi e produzioni certificate, in Sardegna si preferisce il mantenimento delle pratiche tradizionali. Non sorprende che il 78,2% delle aziende agricole intervistate sia legato a una produzione convenzionale, a fronte di un misero 3,2% di quelle che adottano il biologico.
Eppure, dietro questa resistenza si nasconde una frustrazione palpabile.
Da anni, gli agricoltori si confrontano con un mercato globale sempre più aggressivo, con costi di produzione alle stelle e un futuro incerto. Per molti, l’idea di affrontare anche i costi di una transizione ecologica appare come un lusso che non possono permettersi. E qui sta il cuore del problema: la richiesta di “meno regole” è la risposta a un sistema che promette aiuti e incentivi che, puntualmente, non arrivano. Come fidarsi di una burocrazia che parla di sostenibilità mentre le aziende agricole soffocano tra scartoffie e fondi che si fanno attendere?
Daniela Torresetti non usa mezzi termini: “La volontà di continuare a produrre come si è sempre fatto è stato il punto di forza del settore che ha permesso la continuità delle tradizioni. Tuttavia, ora si mostra in tutta la sua debolezza, impedendo la transizione verso sistemi produttivi di qualità certificata o di energia rinnovabile che richiedono un altro tipo di conoscenze.”
Ma il vero paradosso è un altro. Mentre gli agricoltori chiedono meno regole e maggiore libertà, l’ambiente attorno a loro continua a lanciare segnali d’allarme. La siccità, le alluvioni, le stagioni impazzite non sono certo fenomeni lontani dalla realtà agricola sarda. Anzi, ne sono il pane quotidiano. Eppure, la percezione resta la stessa: le nuove regole ambientali sembrano più un peso aggiuntivo che una soluzione ai problemi reali.
In questo scenario, la domanda non è se l’agricoltura sarda possa permettersi di ignorare il cambiamento climatico, ma se possa permettersi di restare indietro. Forse, la vera sfida è trovare un modo per rendere la transizione ecologica un’opportunità e non l’ennesimo fardello burocratico. Altrimenti, l’isola rischia di restare bloccata in un passato che, per quanto affascinante, non può più garantire un futuro sostenibile. E intanto, il resto del mondo corre.