È accaduto tutto in una notte come tante altre. A Villasor, dove la quiete rurale nasconde, come un velo di fumo, storie di dolore silenzioso. Le urla. Il frastuono. I vicini che, spaventati, compiono quel gesto che ogni società dovrebbe considerare un atto di coraggio: chiamano i carabinieri.
Arrivano in fretta, perché quelle urla, quei rumori, parlano chiaro: dietro quella porta, si sta consumando qualcosa di vile.
Un figlio, 27 anni, si rivolta contro la madre, una donna di 57 anni che porta sul volto e nel cuore le cicatrici di una vita che non le ha risparmiato nulla. La colpisce. La fa cadere a terra. Poi, come un boia senza volto, la esclude dalla sua stessa casa. Quella che dovrebbe essere il suo rifugio diventa la sua prigione a cielo aperto.
Non è la prima volta, dicono i carabinieri. Non è la prima volta che quel figlio, divorato dai demoni dell'alcol e della droga, si trasforma in carnefice. E lei, la madre, il suo unico scudo contro il mondo, si ritrova vittima di chi avrebbe dovuto proteggerla.
Arrivano i soccorsi, il 118. La donna rifiuta il ricovero.
Le sue ferite, quelle visibili, sono lievi. Ma come si misura una ferita nell'anima? Come si calcola il dolore di una madre che vede il proprio figlio perdersi, pezzo dopo pezzo, fino a diventare uno sconosciuto?
Il figlio, questo ragazzo che ha scelto la strada dell’autodistruzione, finisce dietro le sbarre del carcere di Uta. Resterà lì, dicono le autorità, a disposizione della giustizia. Ma quale giustizia può mai bastare quando si consuma un tradimento così intimo, così devastante? Quando è la casa a diventare il teatro di una guerra silenziosa, dove non c'è gloria, non c'è vittoria, solo macerie?
Questa è la realtà. Villasor, come tanti altri luoghi, non è immune. Qui, dietro le facciate tranquille, si nasconde un dramma che pochi conoscono. E in questa notte, solo le urla hanno rotto il silenzio di chi, fino all'ultimo, ha sperato di non sentire più nulla.