C'è un banco vuoto oggi alla scuola elementare di Monte Gurtei, un banco che non si riempirà mai più. È il banco di Francesco, dieci anni appena, strappato alla vita da una mano che doveva proteggerlo, non tradirlo. Un padre che, in un momento di abisso, ha deciso che la sua famiglia doveva scomparire insieme a lui. E così, Francesco non c'è più. Non c'è la madre. Non c'è la sorella maggiore.
Davanti all'istituto, intitolato a Grazia Deledda e Mariangela Maccioni, i compagni si sono raccolti in un capannello, come per cercare conforto l'uno nell'altro, forse senza nemmeno riuscire a capire fino in fondo la brutalità di ciò che è accaduto. Hanno lasciato letterine e un mazzo di fiori sul banco di Francesco, quel banco che lui occupava con la sua presenza attenta, la sua voglia di imparare, la sua gentilezza.
"Era il più bravo della classe, un ragazzino corretto, gentile, sempre disponibile", dice una madre, con la voce rotta dal pianto, come se l’avesse perduto anche lei. "Non lo dico perché è morto, ma perché è la verità."
C'è un senso di sconfitta nelle sue parole, come se la morte di quel bambino avesse tolto una speranza, un frammento di bellezza a questo mondo già troppo crudele.
Un'altra madre si fa avanti, cercando di dare un senso all'assurdo: "Non sapevamo niente, non c'erano segni di disagio. Li vedevo ogni tanto a scuola, i genitori. Persone riservate. Ma i panni sporchi si lavano in casa, dicono. E qualcuno, quei panni, non li lascia mai asciugare alla luce del sole."
Francesco non tornerà. Rimarrà per sempre quel banco vuoto, il silenzio che pesa, la domanda che non trova risposta. E la vita, spietata com'è, continuerà il suo corso. Ma quel banco rimarrà lì, a ricordarci quanto fragile sia il confine tra amore e follia, tra ciò che è e ciò che avrebbe potuto essere.